Il dono smarrito

I doni che abbiamo ricevuto in dote dal destino, da Dio, dal caso, sono eterni? E se dovessimo perderli nel corso della Vita?!?

Voglio narrarvi la Storia dello Gnomo delle Nevi Serin Gnomo orologiaio, affinché quello che accade non sia motivo di sbigottimento, di sconcerto e di smarrimento, ma ci insegni a leggere, a vedere una strada nuova dove altri vedono niente altro che macerie.

Appena entrati in quel laboratorio così inusuale ed unico nel suo genere, il silenzio ovattato viene ritmicamente distratto solo dalle centinaia di orologi sparsi in ogni dove.
Un ipnotico susseguirsi di Tic-Tac… che infondono la stessa serenità propria di un pomeriggio invernale passato davanti al camino, mentre la pioggia incessante riga i vetri delle finestre. 
Come vi dicevo, Serin, lo gnomo orologiaio, viveva le sue intere giornate in quel posto magico, affaccendato a mettere le mani nei millimetrici ingranaggi con una passione infinita ed un tocco di genialità ereditato dalla propria famiglia. Lui è uno Gnomo delle Nevi, e per la sua razza, la pazienza e la posatezza di animo sono le caratteristiche peculiari e contraddistintive.
Da secoli oramai, lui come già tutti i suoi avi, si dedica con amore a riportare i vari Tic-Tac che hanno smarrito la cadenza, al ritmo esatto dello scorrere del tempo, il tempo giusto, quello del vivere in quell’incantevole paesino sperduto nella memoria degli uomini.
Lo Gnomo aveva il dono di trovare negli ingranaggi di qualsiasi tipo di orologio, il minuscolo granello di sabbia responsabile di rubare quell’infinitesimale attimo che a lungo andare crea disagio, crea uno scollamento, tra l’orologio ed il tempo reale appunto. 
Quello che posso dire, con non poco stupore lo confesso, che allo gnomo non occorrono strumenti particolari, marchingegni magici, il suo è un dono, il dono di saper… ascoltare… 
Prima di smontare, di armeggiare, di trafficare con gli ingranaggi, lui si pone in ascolto, ha la singolare capacità di scoprire dove quel piccolo intoppo inizia ad ammonticchiare attimi, a rosicchiare centesimi di secondi, che sommati gli uni agli altri, determinano il problema. Al buon Serin non resta in fine che intervenire chirurgicamente per far tornare a scorrere il tempo in maniera esatta. Solo lui riesce in questo, e tutto il paese lo riveriva per questo, egli è… Lo Gnomo Orologiaio.
La sua vita in fondo sembra scorrere con la stessa inesorabile fluidità del tempo, ogni piccolo problema, ogni piccolo intoppo, fino a quel momento, non è stato che uno dei tanti orologi da rimettere in riga, da riportare a scorrere al ritmo giusto, al ritmo consono dello scorrere della vita stessa. Questa grande capacità rifletteva il suo essere più profondo, cosa dire, faceva parte di sé, egli è nato con la pacatezza e la tranquillità di saper riportare tutto sulla strada più giusta, badate bene, non sto parlando solo di tempo ed orologi.

Finalmente nel minuscolo paesino è la mattina della Grande Castagnata Silvestre, ed ovunque si respira un’aria festosa e frizzante, densa di attesa e trepidazione. 
I bimbi non si recano a scuola, i grandi mettono i mantelli con i colori più sgargianti e variegati, tirano fuori la tuba della festa con le insegne della propria famiglia di appartenenza, e tutti, proprio tutti, si danno appuntamento alla Grande Rupe, che momenti!
Anche Serin, con un grande sorriso stampato sul viso, è arrivato nel luogo di ritrovo, e lui con la sua famiglia si apprestano a festeggiare come si conviene, lo gnomo Maria, sua moglie, al suo fianco ed appena dietro i suoi figlioli Ticchete e Tacchete.

Quel giorno incarnava per tutti gli abitanti del paese, il momento del passaggio dalla frenesia di una proficua e scanzonata estate, il preludio di un momento più intimo, quello dove trovi il tempo di guardarti dentro, quello dove è tempo di stare più a contatto con i propri cari, l’inverno che placa i ritmi del vivere. 
… Ad un tratto, inaspettatamente, una serie di accadimenti incomprensibili, repentini e fulminei distrussero la festosa atmosfera nella comunità, accadimenti quelli, destinati a tracciare un punto di non ritorno nella vita di quegli gnomi. 

Un bagliore accecante ed una deflagrazione terrificante squarciarono il cielo e la vita fino ad ora gioiosa di quel tranquillo paesino, venne stravolta.
Una moltitudine di gnomi era riversa a terra, i loro lamenti si alzarono confusi ed incessanti, ad essi iniziò ad unirsi il pianto e le grida attonite e strazianti di chi aveva perso un proprio caro. 
Lentamente arrivò poi il silenzio… Un silenzio cupo, doloroso ed impenetrabile che avvolse come una fitta nebbia il vivere di quelle povere anime.
Erano passati giorni, diversi, forse i più pesanti nella storia di quel luogo, gli gnomi lentamente cercavano un modo per tornare ad una forzata normalità. 
La scuola tornò a popolarsi, così come alcune delle botteghe del paese, con dolente fatica, iniziarono a riaprire le imposte, ma solo alcune, infatti tanti erano invece gli empori, i laboratori, le officine che rimasero chiusi, chiusi per sempre… 
Serin ed i suoi cari potevano ritenersi miracolati, nessuno di loro aveva perso la vita, e questo era spunto di riflessione e fonte di ispirazione nelle preghiere, quelle pronunciate stringendosi le mani intorno al tavolo prima di ogni pasto, quelle sussurrate prima di coricarsi, ognuno nel proprio letto. 
Venne il giorno anche per Serin di rientrare nella bottega degli orologi, tornare aveva un sapore amaro, quel silenzio ovattato che lo avvolgeva quasi proteggendolo, coccolandolo, non raccontava più la stessa fiaba, il dolore albergava nel suo cuore, ogni piccolo Tic-Tac sembrava suonasse oggi un canto diverso. 
Mi rincrescere narrare che comunque il peggio per lo gnomo non era ancora giunto…
Ripreso faticosamente il lavoro lasciato indietro, presto si rese conto che non riusciva più a… “sentire” … 
Presto, molto presto, il buon Serin si rese conto che il suo dono, per lui scontato ed oramai acquisito, si era invece dissolto, era sparito. 
Non c’è da stupirsi in fondo per quello che accade al nostro Serin, nel paese infatti si era diffusa la voce, confermata amaramente dai fatti, che ogni gnomo, salvata la vita, aveva però perso qualche cosa, qualche propria abilità, come il Mastro Norcino che non riconosceva più la qualità delle cosce salate che tagliava ogni giorno, il Mastro Sarto che aveva dovuto chiamare un garzone per cucire anche le più semplici bluse, oppure come il Mastro di Botte che giaceva riverso ad un tavolo della propria cantina, con le lacrime agli occhi, mentre la moglie cercava, con non poche difficoltà, di consigliare l’idromele più adatto da proporre ai propri clienti. 
Lo Gnomo Orologiaio capì immediatamente di non riuscire più a scovare alcun segno di imperfezione ascoltando solamente, era ora costretto a smontare, a manipolare, con le mani… ora era costretto ad ammettere a sé stesso che lui doveva usare le mani… 
Perdere il suo dono non significava solo aver smarrito una mera abilità professionale, perdere quel dono significava molto di più, si rese tristemente consapevole, che in un attimo aveva perso tutto quello per il quale veniva riconosciuto unico dall’intera comunità.
Era una sofferenza guardarlo così, lo ammetto, il lavoro scorreva a fatica, ma intanto procedeva, al contrario invece iniziò sommessamente a farsi strada in lui un tarlo, un tarlo che senza sosta consumava il legno della sua autostima, e sommessamente quindi, ad incrinare la stabilità del suo sentirsi gnomo.
Era da sempre l’orologiaio che sapeva ascoltare, non un ordinario garzone atto a smontare, dissezionare per poi rimontare, era lo Gnomo paziente, quello che capiva prima di intervenire, quello che quando interveniva aveva già compreso, quello che sapeva dove mettere le mani, era una piccola ma sostanziale differenza, una immensa differenza. Il suo dono, stava lentamente scoprendo, non era mai stato un puro e semplice aspetto legato esclusivamente al mondo del lavoro, era invece qualcosa sul quale lui aveva costruito la propria immagine, e di riflesso, era l’immagine che gli altri avevano ora di lui.
Beh… ci volle un attimo per Serin da essere costretto ad accettare questa nuova condizione sul lavoro, a riversarla poi, come un’onda silente ma inarrestabile, nel suo quotidiano, nel suo vivere. 
In poche parole, si ritrovò a pensare di essere… Nessuno.
Si sentiva nudo, indifeso, si sentiva incapace di affrontare qualsiasi avversità, problema che gli si parasse di fronte, si sentiva inerme, sconfitto a prescindere. Iniziò a chiudersi in un silenzio doloroso, un silenzio che le persone intorno a lui stentavano a comprendere. Come per l’elaborazione di un lutto, dal silenzio, dallo sgomento passò alla rabbia, si scagliava contro sé stesso per la stoltezza con la quale aveva permesso a sé stesso, Serin lo Gnomo Orologiaio, di far ricondurre ad un dono caduto dal cielo, tutto quello che era diventato, quello che aveva costruito, nel vivere, nell’essere. 
Aveva intrapreso una strada che lo stava isolando da tutti, una deriva inesorabile che lo conduceva ad una immensa, triste solitudine.
I suoi cari, la moglie ed i suoi due figlioli, non riuscivano a comprendere quel silenzio, quel mutismo e quell’improvviso distacco. Loro non sapevano come sgretolare quel muro che si alzava ogni giorno più imponente, nemmeno con l’amore riuscivano a penetrarlo, tanto Serin si era chiuso in sé stesso. 
Divenne burbero, cosa mai e poi mai accaduta prima, divenne a tratti astioso, persino con i figlioli, Tic e Tac, con i quali si era sempre comportato da padre affettuoso e premuroso. Le reazioni poi con i diversi clienti che gli chiedevano niente altro che semplici spiegazioni sul perché mai impiegasse tutto quel tempo a risolvere un così piccolo problema, cosa ovviamente a lui mai accaduta, erano furibonde e assolutamente fuori dal consueto per uno gnomo come lui riconosciuto calmo e paziente. Le cose stavano indubbiamente prendendo una piega pericolosa quanto sconveniente. 
Passando davanti al suo laboratorio, erano più le giornate nelle quali mi stupivo di trovare le imposte serrate, che non quelle nelle quali si scorgeva quella flebile luce che testimoniava la sua presenza al lavoro.
Dopo diversi giorni di amaro silenzio e triste solitudine, Serin, si ritrovò, senza nemmeno un vero perché, a riflettere su quella situazione nella polverosa soffitta, da sempre stracolma di mille e mille cose ammucchiate alla rinfusa. 
In quel luogo silenzioso della casa dove lui aveva cercato rifugio, il vociare dei suoi figlioli sembrava arrivare come un sommesso brusio, ed i suoi pensieri potevano correre veloci ed indisturbati. 
La sua attenzione venne catturata da un vecchio album che sporgeva da un baule socchiuso ed impolverato, abbandonato in un angolo. 
Iniziò a scorrere le vecchie foto, ed un moto di commozione pervase il suo animo fragile e sofferente.
Ogni foto era un balzo nel passato, ogni album che iniziava a sfogliare un passo indietro fin a rivivere, come per magia, gli attimi felici di quando lui era ancora uno gnometto. 
Alla fine, terminati tutti i raccoglitori delle vecchie foto, scorse sul fondo del baule, una oggetto che credeva oramai andato perduto… un prezioso dagherrotipo, nel suo cofanetto di ottone e velluto. 
Lo prese con delicatezza e molta cura, lo inclinò, come si doveva fare per scorgere quei volti che da tantissimo tempo non vedeva, e dalla sottile lastra di argento, apparve come per incanto, l’immagine di diversi gnomi, tutti impettiti in bella mostra nel laboratorio dove lui ancora oggi svolgeva il proprio lavoro.
A sinistra il bisnonno Voignar, con la tuba di famiglia, identica ovviamente a tutti gli gnomi del ritratto essendo una foto di famiglia, ma con una candida e lunghissima barba bianca, al suo fianco il nonno Lusil, orgoglioso ed impettito come da sempre lui lo ricordava, poco più a destra accovacciato, c’era Darin suo padre, in quel tempo ancora molto giovane, con lunghi e curatissimi baffi, e tra le sue braccia, poggiato su un ginocchio, c’era Lui… sorridente e curioso che non comprendeva affatto il perché tutti dovevano restare perfettamente immobili mantenendo quella strana e solenne posa.
Le lacrime solcavano le sue guance per perdersi lentamente nella propria barba che, da un po' di tempo, aveva preso a tingersi del colore pallido della luna, e lui sentì dentro uno straziante senso di solitudine, mai in tutta la vita si era sentito così solo, così vulnerabile.  
Si era davvero sciolto, dissolto tutto quello che lui era, quello che aveva costruito, dal piccolo gnomo di quell’immagine allo gnomo maturo che ora, seduto in una soffitta, stava guardando quella vecchissima rappresentazione fotografica?!?
Sembrava non uscire più da quella spirale, da quel vortice che lo stava spazzando via, ma poi… nella sua mente iniziarono a venire a galla, come delle foglie appena cadute in un torrente, dei pensieri, delle riflessioni, delle domande tutte nuove…

Tornò a guardare l’immagine, ed affiorarono alla sua mente tanti momenti lontani, con il bisnonno, con il nonno, molti di più con il padre, ed iniziò a chiedersi cosa loro avrebbero fatto, come si sarebbero comportati nella sua medesima posizione?!?
Ma ancora più forte salì nel suo cuore una domanda, cosa ricordava di quegli gnomi, colonne della propria famiglia, fieri artefici di quella arte, di quel laboratorio scampato ad innumerevoli nefaste vicissitudini?!?
Tornò senza alcuno sforzo ad attimi vissuti con ognuno di loro, momenti di vita quotidiana e di vita vissuta in quella bottega, che ancora oggi fu costretto ad ammettere, aveva gli stessi suoni, scandiva la propria vita, allo stesso ritmo di fantastici cucù, pendole, orologi da taschino che ne segnavano il tempo!
Del bisnonno ricordava nitidamente il momento nel quale, tra le sue braccia, varcò per la prima volta la soglia di quella bottega magica, almeno così lui ricordava essere. Riusciva quasi a sentire ancora la sua voce profonda quando gli chiedeva di passargli quel determinato attrezzo, amorevolmente rimproverandolo invece di non toccarne altri. 
Del nonno invece stava rivivendo i momenti nei quali insieme passeggiavano nei campi, e lui piccino si smarriva nei suoi racconti, colmo di emozioni ed in preda ad uno stupendo senso di tranquillità e protezione, dato da niente altro che sentire la propria mano stretta forte nella sua.
Pensando a Darin, suo padre, la prima che gli sovveniva, era quella sua posatezza, quella sua giusta misura, quel parlare profondo e pacato che aveva portato lui ad essere quello che era, quello che Serin sapeva in fondo essere, quello per cui tutti lo conoscevano e gli riconoscevano, la pazienza e la posatezza di animo…

Ma allora…?!? 
… un attimo e la sua mente si illuminò!

Il Dono di famiglia… allora… dove era in quei momenti, in quei ricordi, in quegli attimi così vividi nel suo cuore?!?
Il Dono che senza alcun’ombra di dubbio era a lui giunto come lascito attraverso Voignar, Lusil, per mezzo del padre Darin… quanta importanza rivestiva nelle figure di quegli gnomi che per lui erano dei saldi punti di riferimento?!?

Ecco… iniziò a sciogliersi… Lui aveva loro, in quanto gnomi, cristallizzati nel proprio Cuore, come salde radici del suo vivere!!! 
Il suo animo stava esplodendo di gioia… con o senza quel Dono, quelli gnomi così importanti, quelle figure che lo avevano aiutato a forgiare il suo essere più vero, rimanevano semplicemente tali… 

Nulla detraeva, nulla aggiungeva… 

Avrebbe da quel giorno, se necessario, utilizzato le mani, se tale fosse stato il suo destino, lui lo avrebbe fatto, senza sentirsi sminuito, menomato nell’anima, nulla di più, perché se la pesante mancanza di quel dono al livello professionale lo avrebbe certamente penalizzato come gnomo, come Serin, nulla aveva a che vedere! 
Comprendeva solo ora l’importanza di quello che gli stava accadendo… 
Aveva dovuto perdere il suo Dono per scoprire che la differenza sostanziale in lui, nel suo essere gnomo, pacato, paziente, lungimirante e sempre pronto a trovare una composta via d’uscita quando altri invece alzavano le braccia al cielo imprecando, era data da tutto quello che aveva ereditato, da tutto quello che aveva costruito su quelle salde e solide radici, quelle dei suoi padri.

Scese nel tinello e, con le lacrime agli occhi, strinse forte in un abbraccio grande sua moglie ed i propri figli, e loro capirono in un attimo che il padre, il marito, era finalmente tornato.
Fu quello il modo stupendo, di chiedere scusa, il modo per farsi perdonare tutto il dolore che, inconsapevolmente, aveva loro inferto.

Quel giorno, ai piedi della Grande Rupe, una stella infuocata aveva solcato il cielo, portando morte, devastazione e dolore. 
Un grande globo di fuoco aveva tracciato in momento, un segno indelebile nella vita di quelle anime.
Quasi tutti gli gnomi non compresero il perché di quella tragedia, un esiguo numero di essi si fermò a riflettere, solo pochissimi invece trovarono il modo di comprendere il perché gli venisse tolto così tanto, affinché potessero scoprire, nel dolore, quanto invece di vero ed autentico dentro sé stessi albergava.

A volte crediamo essere l’immagine di un Dono, dimenticando quello che siamo invece nel profondo, scambiamo il riflesso delle nostre abilità, che non sono niente altro che il mezzo per raggiungere quello che desideriamo, per quello che effettivamente noi siamo…

La fiaba di Sarin, lo gnomo orologiaio, mi ha insegnato tutto sommato questo, che per ritrovare sé stessi, a volte, dobbiamo perdere tanto, così da comprendere nel profondo quello che veramente siamo.