Con il fiato sospeso fino alla fine…
Le sagome delle auto corrono più lente dei suoi pensieri. Una pesante giornata di lavoro lo ha portato lontano, ed ora, con tutta la stanchezza, più mentale che fisica, un lungo viaggio in autostrada, il rientro finalmente. In questi momenti un vortice lo assale, un vortice di meccanismi che, appare oramai chiaro non riesce più a tollerare, un turbine fagocita la sua attenzione. È questo il momento di cambiare?!? O forse lo è sempre. Mauro si sentiva inerme, fermo, ingessato, bloccato. Da questi pensieri, passare ai bilanci di una vita, per poi passare ai processi sommari ed infine giungere ai sensi di colpa, impiegava mediamente il tempo di due sorpassi, ed il vortice che riteneva avere sotto controllo, inizia a virare nella malinconia, nella rabbia contro sé stesso. Un fiume di percezioni negative che, non potendo esplodere, lo devastano nell’anima silenziosamente, tutto il percorso continua inghiottendo i suoi pensieri, i momenti felici, le cose belle che lui costruisce, facendogli perdere il senso oggettivo della propria vita, del suo esistere. Come un velo triste, un’ombra che cala sui giorni, un velo che nasconde le piccole e sparute valli, immagini di gioie, evidenziando invece, le alte vette dell’insoddisfazione, distraendo la vista dal panorama frastagliato di entrambi. Una consueta sensazione di sollievo, ogni volta che percorre lo svincolo che lo immette sulla sua autostrada, quella di casa, lo avvolge anche questa volta. Chilometri ben conosciuti, silenziosi… una pausa dai pensieri. Poi accadde… Un silenzio innaturale, percorso un tragitto molto breve, avvolse tutto, insieme ad un buio denso, pesante. Si sentiva inghiottito in un vortice che lo occludeva. Come immergersi in acqua, ritrovandosi in una realtà ovattata, schermata dai suoni. Una strada già poco frequentata sembrava diventata vuota, immobile, ma quello che lo colpì ancora una volta, era il silenzio, innaturale. Un mezzo fermo in carreggiata …poi un altro un altro ancora… Era attonito, non aveva il coraggio di fermarsi. Rallentò per scorgere nelle auto, in cerca di spiegazioni su quello che stava accadendo, ma nulla. Automobili ferme, persone a bordo come assopite, immobili, macabre figure spente. “Mancano pochi chilometri e poi sono a casa” pensava, non voleva fermarsi, era come se qualcuno avesse premuto il tasto PAUSA. Lo aveva fatto spesso, in precedenza per una segnalazione, un incendio, un incidente compose con apprensione il numero delle forze dell’ordine preposte, ma quello che sentiva era solo un suono senza alcuna risposta, nulla, nessun segnale di vita. Giunto al casello le sensazioni, i timori divennero sempre più delineati, trasformandosi in una realtà da incubo, che sembrava essere solo all’inizio. Le auto ferme, le persone assopite, una dietro l'altra, una processione di mummie, ed il rumore assordante di un silenzio senza fine. Voleva che non fosse, doveva rientrare a casa, doveva sincerarsi. Nel palazzo l'unico rumore era il ronzio dei neon, corse in camera ed erano lì, immobili nel letto. Con rispetto, con calma, pensò di non dover turbare il loro sonno, si sforzò nel restare calmo. Sussurrò il loro nome, poi più forte, ancora più forte, infine urlando; ancora, gridò, nessuno rispose, nessuno ascoltava. Cercò risposte altrove, ma una alla volta, quei cordoni ombelicali che aveva da sempre definito tossici, si spensero, cessarono di fare il giro di un mondo che non parlava più, che aveva cessato di comunicare, di esistere. Prima i social, poi la rete, ed infine il semplice segnale telefonico, cessarono di funzionare, tutto si spense. Aveva sempre asserito, con orgoglio, che fosse necessario saper utilizzare certi mezzi, che non dovevano alla fine, essere loro ad usare te. Non erano strumenti pericolosi e dannosi, tutt’altro, ma come spesso accadeva, magicamente l’umanità aveva trovato uno dei tanti modi per rovinare tutto, scegliendo di utilizzare una risorsa stupenda ed importantissima, nel modo più esecrabile. Ora più che mai lo comprendeva, sulla sua pelle, comprendeva in maniera chiara quanto fossero necessari, proprio ora che li aveva persi. Appena dopo, l’energia elettrica cessò, semplicemente colorando tutto di un silenzio surreale. Stato d’animo: Disperazione. #giornosette Alimentarsi, vagare nel silenzio, nel nulla, dormendo notti insonni, vegliando in giorni di dolore, aveva provato, eccome se lo aveva fatto, a chiamare, a scuotere, ad urlare, si ostinava a voler destare, per tornare mestamente a comprendere che erano solo dei corpi sprovvisti di vita, che in fondo avevano solo dimenticato di morire. Un mondo di silenzio ti lascia pensare, ti lascia troppo spazio per riflettere e questo… non è un bene. Mauro pensava davanti ad un fuoco acceso per la notte, che in fondo era come se il Signore gli avesse donato tutto quello che desiderava, non aveva più alcuna pressione, nessuno che pretendesse risultati, risposte, conferme e parole. Proprio lui che amava, nei momenti più intimi, chiudersi in sé stesso, erigere una barriera, isolarsi, ora aveva finalmente quello che cercava no?!? I soldi, gli averi terreni, il vile denaro maledetto, sempre a cercare di averne, sempre a rincorrere il “benessere”, lo stato di grazia, il limbo nel quale hai tutto quello che ti occorre senza dover rinunciare a cose che reputi necessarie. L’immagine di lui tornò a galla, si stagliava nitida, un frame di soli pochi giorni prima, lui che a piene mani riempie un dissacrante enorme bustone dell’immondizia di banconote, seduto davanti la cassaforte di una banca, quella che era risultata più semplice da violare. Nel viaggio di ritorno da Roma, guardava senza la minima emozione, una pila di lingotti d’oro con la luccicante incisione “Banca d’Italia”, ammonticchiati in bellavista sul sedile di un camion, indolenti, giacevano al suo fianco. Ora aveva tutto. Non si era mai sentito più povero nella sua vita. Non si era mai sentito più vuoto, in tutta la sua vita. Stato d’animo: Incredulità. #giornoquattordici Era seduto, sprofondato nella sua poltrona, nella mano un calice Zalto nel quale roteava, pigramente, uno Château Petrùs 1961, riflesse nel calice le fiamme rassicuranti che danzavano in un sontuoso camino. Anche quello era stato un prezioso “acquisto” della sua scorribanda nella capitale. Casse in legno di La Tâche - Romanée Conti nel cassone di un camion, oltre allo Château Petrùs, giacevano indolenti alla rinfusa, in mezzo ai sacchi, zeppi di banconote verdi e viola. Che degustazione sarebbe stata! Lui a condurre un “evento impossibile”, un evento unico in Italia, persone da tutto lo stivale che accorrevano. Che avrebbe detto… cosa avrebbe sottolineato come prima emozione, caratteristica di quel grande vino?!? Tronfio dell’essere single, aveva sempre sbandierato che determinate etichette andavano condivise, abbinate solo con… se stessi! Più e più volte lo aveva asserito, tanto da diventare quasi un suo cavallo di battaglia, forse un credo. Ora seduto nella solitudine più totale, con quel calice preziosissimo in mano, appariva ben chiaro che quella verità era solo retta e giustificata dal fatto che gli altri esistessero, che per essere in solitudine doveva esserci intorno un mondo che vive, che la differenza tra stare in solitudine ed essere soli erano mondi distanti milioni di anni luce, con accezioni diametralmente opposte, e lui ora era, e si sentiva solo. Uno dei vini che aveva da sempre sognato degustare, nella sua mano, nel suo calice. Ad ogni sorso, sembrava che qualcuno si divertisse a versare dell’acqua in quel calice, tanto le emozioni erano diluite in un nulla che lo intristiva. Rifletteva sul suo comportamento attuale, figlio di una esistenza nuova di zecca. Come stava decidendo di viverla? Cosa stava facendo per sentirsi al sicuro, cosa riteneva necessario per vivere e non semplicemente esistere? Una villa disabitata. Un autotreno di gasolio. Un gruppo elettrogeno grande come un container. Il momento che aveva potuto accendere di nuovo una luce… una doccia calda. Una scorta di armi da fuoco degne di un veterano dei marines, sempre pronto a muovere guerra al mondo, come un pugile che continua a girare in tondo, intorno ad un avversario che non ha nemmeno indossati i guantoni. Un sorriso amaro. Non era la prima volta che si scopriva a cercare sempre più del necessario. Secondo lui stare bene, significava “stare tranquillo”, come se qualcuno, in tutta la sua vita, gli avesse sistematicamente tolto la felicità, il benessere, la serenità. La sua in fondo era una corsa infinita. Ora prendeva quello che voleva, quello che gli necessitava, e ne prendeva tanto, di più, a piene mani, per sentirsi finalmente “a posto”, per sentirsi realizzato, affinché quel momento di pacatezza, di tranquillità da nulla fosse turbato, intaccato. Ad ogni “traguardo” inanellato, la stessa sensazione di annacquamento… La sua... una corsa infinita, infinita ed inutile. Stato d’animo: Incompletezza. #giornoventuno Come in una esplosione, un tremendo boato ci colpisce, il polverone alzato ci disorienta, ma poi, dopo un tempo ragionevole, iniziamo lentamente a riprendere il controllo, timidamente inziamo a cercare punti di riferimento. Dopo la Disperazione, Incredulità scatta la reazione di riportare il tutto ad una condizione pressappoco normale, generando infine disagio ed Incompletezza. I giorni che passavano invece, in lui stavano tracciando uno scenario molto più netto e delineato, scenario che stava scoprendo più appartenere al tempo antecedente alla catastrofe, che a quello post catastrofe. Stava riuscendo, molto lentamente, a fare chiarezza sul come era arrivato ai momenti appena antecedenti all’evento, che ora caratterizzava il vivere di quei momenti. Le sue risposte all’evento, infatti, erano perlopiù reazioni molto istintive, soprattutto dettate dalle necessità impellenti che si affastellavano momento dopo momento, giorno dopo giorno. Tutto quel tempo di pensare, riflettere, stare solo con sé stesso, lo stavano “soffocando”, allo stesso tempo, finalmente, iniziava invece a comprendere alcune dinamiche inaspettate, rimaste nascoste in precedenza, nelle pieghe di una vita, vissuta di corsa. Tutta quella opulenza, tutta quella assurda ricchezza, sempre agognata, cercata, rincorsa, ora nel contesto attuale ingenerava niente altro che... vuoto. Dopo lo stupore inziale, dopo quella inaspettata tranquillità ritrovata, era ora il tempo nuovamente delle recriminazioni con sé stesso, proprio alla luce di quello che ora sembrava più chiaro, riguardo alla sua vita precedente, stava nuovamente generando un moto di risentimento. Uno tsunami di rabbia si stagliava nuovamente nei suoi pensieri. Tolte quindi le mancanze, le cose che aveva sempre cercato erano ora in suo possesso, ma esse non avevano generato alcun benessere mentale, anzi, stavano invece fomentando reazioni emotive di vuoto, negativamente amplificate. Ci mise poco a risolvere l’equazione, nuovamente la colpa, il disagio del quale doveva farsene carico, nuovamente lo scagliarsi contro sé stesso, vittima di quello che era accaduto, carnefice di una vita di stenti emozionali, vissuta con perenni mancanze. Sempre “senza” qualcosa. Costantemente “senza qualcuno”. Tutta la sua propensione alla comprensione verso gli altri, il suo innato senso di donare, quello che gli era stato possibile, a chi ne aveva più bisogno, con discrezione e riservatezza, a cosa avevano in fondo portato? Che messaggio insano gli avevano inculcato da piccolo? Dove, ed in che momento? Al catechismo? Nella vita che gli sembrava felice, quella adolescenziale vissuta con le persone care della comunità religiosa? Dio che cosa gli voleva insegnare con questa ultima... “genialata”? Si sta divertendo? Togliere una gruccia, per poi non contento togliergli anche la seconda? Vederlo strisciare a terra, quello voleva in fondo? #epilogo La notte trascorse insonne, ma la decisione chiara di dove doveva andare la mattina seguente, lo fece muovere con inaspettata solerzia e... Rabbia. Parcheggiato il Suv a due passi dal Colonnato, proprio davanti all’ingresso, ricordò di esserci già stato, a pochi metri, su una tribuna allestita per l’occasione. “Io ho visto la fumata bianca...” Se lo ricordava bene quel pomeriggio, quello del 19 Aprile del 2005. Per non farsi mancare nulla, visto che c’era, salì nelle stanze, era fisicamente di fianco al Papa, mise a posto il suo vestito, il suo copricapo bianco, poi prese la sua mano e la strinse, un gesto quasi macabro, un gesto quasi irrisorio. ...ed intanto la sua rabbia montava. A due passi dall’altare di San Pietro infine quella rabbia esplose, con tutta la sua forza, eruttò quello che covava dentro. Urlava, brandendo delle sedie, dei banchi di legno, distruggendo tutte le suppellettili sull’altare più sacro del mondo, urlava ed urlava. Quel fiume di male sembrava non si esaurisse più. Spaccava tutto quello che trovava, inveendo contro Dio, distruggendo quello che poteva, cercando di colpire al Cuore la cristianità, proprio dentro la sua Casa, quella più sacra e riconosciuta da una umanità, quella umanità che lui stesso gli aveva tolto. Giaceva disteso al centro della Basilica... Era sfinito. Era consumato. Era calmo. Guardava il soffitto dorato di Michelangelo, i particolari preziosi del Bernini, millenni di arte, di religione, di sacrifici e splendore, il tutto da una prospettiva veramente inconsueta. Una ininterrotta ed infinita processione di anime si era da sempre affannata ad accorrere per visitare quel luogo, per ammirarlo, magari solo una spicciola manciata di minuti, magari in piedi, sicuramente accalcati in una ressa incredibile; quello che invece lui stava guardando per la prima volta, disteso, in silenzio, senza alcuna fretta, e senza alcuna fretta ripercorreva, passo dopo passo, quello che era stata la sua vita, guardandola in maniera distaccata e con fredda obiettività. Fluttuava lontano dalla rabbia, dal rincrescimento, dal dolore, dalla felicità, fluttuava dissociato da essa, poteva vederla dipanarsi come una sottile linea del tempo che scorreva. Appariva ben distinto il sottile filo ricorrente, ed esso era il ripetersi di un corto circuito: analisi-giudizio-rabbia. In un periodo lontano, di questo ne aveva fatto oggetto gli altri, le persone che con lui interagivano. Abbastanza di recente le persone veramente vicine erano state oggetto di questo processo sommario. Da non molto invece, era innegabilmente Lui passato sotto la gogna, e questo lo aveva portato a creare un muro, fino ad allontanare la persona che aveva al suo fianco. Analisi Giudizio Rabbia Non c’era alcuna traccia di comprensione, di accettazione, di considerazione, di... Amore. Si doveva sempre trovare un responsabile, c’è stata sempre una colpa da addossare, una accusa da imputare. Non era mai riuscito a mettere la mano destra sulla spalla sinistra, quella sinistra sulla sua spalla destra e... stringersi. Ogni cosa bella, ogni risultato, ogni piccolo o grande traguardo non bastavano mai a colmare questo “buco di bilancio” che solo lui vedeva allargarsi. Era come stringere un pugno di sabbia nel mare, per vederla inesorabilmente perdersi tra i flutti. Non erano gli altri. Non era il lavoro. Non era un amore impossibile. Non era Dio. Era Lui. Ora comprendeva finalmente. Finalmente aveva compreso. Era tristemente servito un evento così devastante affinché lui riuscisse a comprendere una cosa così apparentemente semplice. La consapevolezza di aver sperperato una vita ad esigere di essere migliore, di essere all’altezza, fissando dei canoni sempre più lontani da quello che lui desiderava, da quello che lui era, gli diede una pace ed una serenità inaspettata. Avrebbe voluto scendere da quel viaggio a ritroso ed abbracciarsi. Avrebbe voluto stringersi forte per far capire a sé stesso che da quel momento sarebbe andato tutto bene. Avrebbe voluto colmare un vuoto d’amore che gli apriva le porte ad una vita finalmente migliore, un vivere sereno. Ora sentiva solamente freddo. Freddo. “Il defibrillatore! Veloci... Dai!” “Continuo il massaggio cardiaco!” “La pressione, la pressione sanguigna è bassissima... dobbiamo fare qualcosa!!!” “Mauro... Mauro... mi senti?!?” “Non reagisce, non risponde!!! Maurooo!” Guardava quell’affannarsi di persone, medici, infermieri intorno al suo corpo. Lui osservava, spettatore, sé stesso disteso sul nero asfalto di una autostrada, e non poteva fare altro che guardare. C’era buio intorno a Lui, tanto freddo, buio e freddo... “Ora del decesso 2,43”